Colpito da un infarto mentre guida il treno
Inutili i soccorsi, muore sul marciapiede della stazione. Denunciamo l’ennesimo caso di morte prematura nella categoria arrivato a 77 dal 2015 ad oggi
Fossacesia (Chieti), 2 settembre 2019 – Era alla guida del treno regionale 35461, in quel momento vuoto, quando ha subito un malore e si è accasciato sul banco di manovra. Così è morto ieri il nostro collega macchinista Leonardo Martino, di 57 anni, impiegato nel trasporto regionale a Foggia. Sul quel treno era occasionalmente presente il secondo macchinista, perché in viaggio di trasferimento senza pendolari.
Il collega ha dato l'allarme, portato il treno fuori dalla galleria e consentito l'intervento del soccorso pubblico nella stazione di Fossacesia.
Purtroppo le manovre di rianimazione effettuate col defibrillatore solo all'arrivo dell'ambulanza si sono rivelate inutili. La relativa tempestività del soccorso – rivelatasi comunque vana - in questo caso è stata garantita dalla presenza del secondo macchinista.
Ci chiediamo come sarebbe stato garantito un soccorso tempestivo, nel caso in cui fosse stato da solo, come avviene ormai in quasi tutti i treni e il convoglio si fosse fermato nella galleria. La sicurezza della circolazione ferroviaria in caso di malore per i treni con un solo macchinista ancora oggi è affrontata semplicemente con il dispositivo a “uomo morto”, che arresta il treno appena il macchinista smette di azionare il relativo 'pedale'.
Resta aperta una questione per noi vitale sul chi, come e in che tempi ci soccorre quando abbiamo un malore e il treno si ferma in un qualsiasi punto della linea ferroviaria, lontano da strade, case, stazioni ecc. Vorremmo anche noi, al pari di tutti i cittadini e degli altri lavoratori, misure di pronto soccorso equivalenti in quanto a tempestività ed efficacia. E non vedere che alle compagnie ferroviarie viene consentito dalle istituzioni di applicare ad alcuni dei propri lavoratori le norme sul pronto soccorso in modo 'più permissivo' che al resto delle imprese italiane.
Questa tragedia, oltre al dolore e allo sgomento dei familiari, ai quali rivolgiamo il nostro cordoglio e quello di tutti i compagni di lavoro, ripropone all'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni competenti il tema della particolare gravosità del nostro lavoro e della preoccupante incidenza di morti premature, molto in anticipo sulla durata della vita media.
Ciò, nonostante l'esistenza dei controlli sanitari periodici a cui siamo sottoposti. Evidentemente essi, finalizzati alla sicurezza ferroviaria, oggi, risultano del tutto inefficaci in termini di prevenzione e di tutela della salute dei lavoratori.
In assenza di studi ufficiali abbiamo rilevato empiricamente – sulla scorta di dati certi – che con alta probabilità l'anomala frequenza di macchinisti che subiscono malori significativi e morti premature, prevalentemente tumori ed eventi cardio circolatori, sia correlata alla tipologia del lavoro ai turni irregolari, ai carichi di lavoro, ai ritmi alterati dei cicli sonno veglia, dell'alimentazione allo stress ecc.
A dare maggiore significato a questi dati vi è la circostanza – non ancora adeguatamente indagata - che i macchinisti vengono selezionati all'assunzione e rappresentano quindi un 'gruppo sano' al quale non possono essere raffrontate direttamente le statistiche di mortalità riferite all'intera popolazione. Denunciamo alle Regioni e al ministero dei trasporti - committenti del servizio - la mancanza di defibrillatori sui treni locali e sugli Intercity, come gia avviene su alcuni di quelli 'veloci'. Si possono anche accettare alcune differenze in termini di comodità e di qualche lusso tra il trasporto 'pubblico' e quelle cosiddetto a 'mercato' ma riteniamo che almeno sulle misure di tutela e prevenzione per la salute non si possano sostenere tali discriminazioni tra viaggiatori e lavoratori, quando c'é bisogno di un intervento di emergenza per infarto a seconda della categoria di treno utilizzato.
Dopo alcune ore ci è giunta anche la notizia del decesso di un collega di Bologna, di 62 anni e da poco in pensione. Con questi due, il tragico bilancio sale a 77 macchinisti morti dal 2015, di età compresa tra i 53 e i 63 anni, quasi tutti a causa di infarto o tumore. Una incidenza fortemente anomala alla luce delle considerazioni di cui sopra che richiederebbe un serio approfondimento da parte delle Organizzaioni sindacali e degli stessi Organi di Vigilanza deputati alla tutela della salute sui luoghi di lavoro. Quando verrà posta fine a questa strage ?
Quando verranno prese in considerazione nella contrattazione sindacale gli elementi di tutela della salute correlati ai turni aciclici che impongono condizioni di lavoro disumane ? Quando la politica e le istituzioni, dopo tante promesse mai mantenute, ci restituiranno la possibilità di andare in pensione ad un'età ragionevole (oggi prevista a 67 anni) che almeno statisticamente preceda il termine della nostra vita media ?