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Clausola sociale: Catricalà, garante della 'concorrenza' sulla pelle dei ferrovieri

Con idee da signorotto medioevale sostiene che la norma sui contratti, pone ostacoli e introduce ambiguità nella liberalizzazione settore

Antonio Catricalà

Comportandosi come un 'signorotto' medievale che ignora di vivere in uno Stato unitario, Antonio Catricalà, garante della concorrenza e del mercato, vorrebbe un mondo del lavoro diviso per feudi in cui vince il più potente e prepotente.

Secondo questo campione di liberismo, infatti la norma contenuta nell'art.8 della manovra economica, in materia di contratti collettivi di lavoro nel settore ferroviario, «introduce elementi di ambiguità nella disciplina del settore che di per sé costituiscono un ostacolo al processo di liberalizzazione». Invece di chiedere al Parlamento di estendere il principio della parità contrattuale a parità di lavoro a tutti i settori, Catricalà si accanisce contro un comparto, quello ferroviario, che non può essere soggetto al ricatto della ‘delocalizzazione’ per l’intrinseca inamovibilità della produzione. La ‘loro’ soluzione a questo ‘sgradevole inconveniente’ si risolverebbe con l'abbassamento delle tutele - in casa - aprendo la corsa al ribasso delle condizioni di lavoro. Quello che per tutti i lavoratori e le persone di buon senso, appare una conquista di civiltà e di stimolo per le imprese a fare meglio - cioè partire da condizioni contrattuali uguali per lavorazioni uguali e orientare così gli imprenditori verso innovazione e miglioramento dell'organizzazione e delle tecniche di produzione - per il nostro 'garante' al contrario, «applicare i contratti collettivi nazionali di settore anche con particolare riguardo alle condizioni di lavoro del personale» sarebbe una norma da abrogare «alla luce degli inconvenienti che la disposizione pone». Nella sua delirante visione socioeconomica, tutta rivolta agli interessi di padroni e padroncini, riesce addirittura a dire che «l'imposizione per legge di presunte maggiori tutele del lavoro, oltre a ostacolare la concorrenza, rischia di produrre l'effetto non voluto - minaccia Catricalà - di far perdere definitivamente il posto di lavoro a coloro che sono stati assunti dalle nuove imprese e impedisce di crearne di nuovi». Non lo ha detto al bar dopo una bevuta con gli amici ma durante un'audizione alla commissione Trasporti della Camera. La nuova norma che fa riferimento – al singolare – ad un ‘contratto di settore’ per le imprese che viaggiano sulla rete Rfi, richiama ovviamente quello oggi applicato dalle FS, dominante per peso economico, industriale e numero di addetti poiché l’altro, quello degli autoferrotranvieri riguarderebbe solo una minoranza di lavoratori - addetti al trasporto locale, utilizzati sulla rete Rfi – e di produzione servizi. La partita è aperta, questa norma è controcorrente – e per certi aspetti inspiegabile - data la politica estremamente anti operaia e iperliberista seguita da duetto Sacconi-Berlusconi. Sono anni che i sindacati perseguono questo obbiettivo per accompagnare la liberalizzazione del settore che altrimenti ci farebbe un salto all'indietro di oltre un secolo e ci riporterebbe ad una pericolosa giungla ferroviaria, sul piano sociale, sindacale e della sicurezza. Mettere tutti nelle stesse condizioni di partenza è la condizione per agevolare i migliori e non favorire i peggiori: una norma profondamente giusta che abbiamo il dovere di far rispettare perché contiene in sé un irrinunciabile principio di equità e giustizia sociale.



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