L'amianto entra nella Storia. A suon di morti.
Parlare di amianto oggi, sensibilizzare la pubblica opinione
più ancora le istituzioni pubbliche, è doveroso di fronte alle cifre della strage silenziosa che si consuma giorno dopo giorno, e che riguarda tutti. Va letto in questa chiave, con il rispetto (tanto) dovuto al giovane autore, “Il male che non scompare” (ed. Il Ramo d'Oro, Trieste) di Enrico Bullian, 25enne consigliere comunale di San Canzian d'Isonzo, presentato oggi, sabato 31 maggio, a Librando, la manifestazione del Comune di Samarate dedicata alle novità editoriali. Bullian, impegnato sul fronte della lotta alle conseguenze dell'esposizione all'amianto, ha tratto dalla sua tesi di laurea in Storia contemporanea presso l'Università di Trieste un lavoro pregevole, documentato e sistematico sui vari aspetti della questione, corredato da interventi di Felice Casson e Antonio Pizzinato.
L'amianto è ovunque, nei decenni dell'apice dello sviluppo industriale, fra gli anni Cinquanta e Settanta, è stato infilato dappertutto: costruzioni, cantieristica, ferrovie. Questa fibra di silicati dagli effetti micidiali, che causa asbestosi, tumori polmonari e il micidiale mesotelioma, male fin qui senza scampo, è tutto intorno a noi: a morirne non sono stati solo gli operai direttamente esposti, ma tanti che neppure realizzavano di essere a rischio. Inutile girarsi dall'altra parte, cambiare pagina, toccare ferro: i dati parlano di un morto per amianto ogni due ore solo in Italia. Una strage che non ha pari in nessun altro ambito industriale, e che ha colpito in modo particolarmente duro le realtà in cui si lavorava l'amianto - Casale Monferrato, con le centinaia di morti della Eternit, la Monfalcone di Bullian, la piemontese Balangero della più grande cava a cielo aperto d'Europa, descritta da Primo Levi ne “Il sistema periodico”, ma anche Bari e altre località del Sud. Il tutto non risparmiando chi aveva la sola colpa di essere vissuto, magari, vicino a un tetto in Eternit. È successo, lo abbiamo raccontato sulle pagine di Varesenews. Ci ha raccontato una vicenda identica, da un centro della Brianza, anche una dei purtroppo pochi intervenuti all'incontro odierno di Librando: il tetto in Eternit sotto la finestra di casa le è costato il padre, lei si è unita all'Associazione Italiana Esposti Amianto. L'AIEA spinge per la rimozione globale dell'amianto, che tuttora determina con la sua presenza condizioni di grave rischio per la salute pubblica. Dal 1992 anche in Italia la produzione è al bando, ma le bonifiche si fanno attendere. Decine di migliaia i morti solo in Italia dopo i primi allarmi degli anni Sessanta e Settanta. Da allora per responsabilità diffuse, che si sommano a vicenda - dalle lungaggini parlamentari alle resistenze delle imprese coinvolte, dalla sordità degli enti di controllo e dell'Inail, ad ambiguità e lentezze degli stessi sindacati, come racconta Bullian nel libro - nel 2008 c'è ancora molto da fare.
L'unica vera rimozione, infatti, fino a questo momento, è stata non quella dell'amianto, ma quella del problema, espunto anche dalla storia, «un po' come le foibe» dice l'autore, nativo della Venezia Giulia. Tipico esempio del meccanismo per cui a profitti sovente privati seguono spese rigorosamente pubbliche, e per il quale si evocano demoni industriali senza realizzare, salvo dopo la conta dei morti, a decenni di distanza, come sottolinea Bullian l'amianto genera anche rifiuto e isolamento nelle stesse vittime. Che non parleranno mai di tumore, né citeranno il mesotelioma: “Ho il mal d'amianto” dicono, “ho un male che non scompare” (da qui il titolo del libro), queste alcune risposte raccolte dal servizio psicologico di assistenza messo in piedi a Monfalcone, città da un secolo dominata dai cantieri navali, dove oggi si costruiscono le più grandi navi da crociera del mondo. Vittime che faticano ad ottenere il riconoscimento di malattia professionale – chi ha contratto la malattia all'estero, come le centinaia di italiani della cava di Wittenoom, Australia occidentale, non lo vedrà mai – o che rifiutano di accettare la malattia della moglie che lavava loro le tute da operaio. Incredibile, ma è successo anche questo. Vittime che faticano a farsi valere anche nei tribunali: «A Monfalcone abbiamo circa 900 procedimenti, di questi 400 lì lì per andare in prescrizione. Fin qui una sola condanna per un caso singolo» riferisce Bullian. A Torino invece il magistrato Raffaele Guariniello indaga la multinazionale Eternit per circa tremila casi di malattia (duemila già purtroppo fatali) nei suoi cinque stabilimenti italiani di un tempo.
Fra questi “martiri involontari” dell'amianto (la definizione è dell'autore del libro) spicca anche il nome di un grande del cinema, il mitico Steve McQueen. Morì di mesotelioma anche lui, nel 1980, forse per le tute in fibra d'amianto con le quali correva in moto. Non serve nemmeno consolarsi pensando che, chiusi negli anni Ottanta cave e stabilimenti, dopo il “picco” di malattie previsto nel 2015, a circa 35 anni dalla massima esposizione, i tumori crolleranno fino a scomparire. È falso: l'amianto resta pericoloso fino alla rimozione, costosa e delicata ma necessaria. E mentre c'è chi liquida la questione come il prezzo da pagare al Moloch del progresso (un po' come per gli incidenti stradali) e chi, tuona Bullian, «facendo del negazionismo su testate prestigiose» cerca di circoscrivere il problema a particolari varietà del minerale, nel resto del mondo «ancora si producono due milioni di tonnellate d'amianto l'anno, persino in Canada, Paese altrimenti civilissimo». La Russia è ancora il primo produttore e utilizzatore, seguito dalla Cina e dal Canada. I veleni sono stati dunque globalizzati, destinati a chi ha fame di sviluppo. Fra questi l'amianto, «male del secolo – anche di questo secolo» per Bullian, «ma peggio ancora è l'indifferenza che lo circonda».
(Sabato 31 Maggio 2008 - Stefano D'Adamo -
Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
)