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Il treno troppo veloce

PiacenzaI sindacati di base non dimenticano compagni di lavoro e passeggeri
A 10 anni dal disastro di Piacenza, il più grave dell'Italia di fine secolo, i treni sono, ora più di allora, solo macchine per fare profitti.


Dieci anni fa un «pendolino», treno allora all'avanguardia per le tratte veloci, deragliò alle ore 13,38. Morirono otto persone (due macchinisti, due agenti Polfer, una hostess, tre passeggeri). La riflessione su questo (e tanti altri) disastro ferroviario è stata al centro di un convegno pubblico, organizzato da due associazioni di base dei ferrovieri Ancora in marcia (www.ancorainmarcia.it) e Coordinamento 12 gennaio (www.coordinamento12gennaio.it).
Il disastro del 1997.
La relazione tenuta da Savio Galvani, macchinista riminese di treni merci, a nome delle due associazioni di ferrovieri ha messo in evidenza come il disastro sia stato chiuso al livello giudiziario, con un niente di fatto, proprio come per Ustica. Sono invece emersi, anche per l'impegno dell'ingegnere trasportista Ivan Beltramba, vari aspetti importanti. Il disastro del pendolino è avvenuto per un eccesso di velocità (andava a 157 km orari in un punto in cui la massima velocità consentita era 105) che non è stato segnalato al macchinista perché la boa di ripetizione dei segnali era stata spostata per motivi organizzativi in un punto in cui non era più utile alla sicurezza dell'arrivo del treno in stazione. La rete, prima dello spostamento della boa era sicura; dopo lo spostamento non più. A riprova di questo fatto è stato dimostrato che, prima del disastro, il pendolino aveva già sforato la velocità consentita e in particolare è stato documentato che c'erano stati cinque sforamenti gravi ed uno gravissimo, un vero e proprio mancato disastro che era stato segnalato alla direzione; che però non ne aveva tenuto conto. L'analisi fatta da Beltramba dimostra che la maggiore velocità da sola non giustifica l'avvenuto ribaltamento del treno e l'analisi delle strutture di quel pendolino ha dimostrato che la sospensione laterale attiva, che permette di tenere in equilibrio la carrozza, era lesionata; una volta avvenuto il deragliamento, la mancata manutenzione del mezzo è diventata una concausa del disastro. Dati questi tre punti: la boa inutile, il disinteresse della direzione, la mancata manutenzione, non è quindi possibile accettare la tesi dell'«errore umano» dando tutta la colpa ai macchinisti e assolvendo di fatto l'organizzazione di Trenitalia.
Per Maurizio Catino - sociologo dell'organizzazione alla Università di Milano Bicocca - in tutta una serie di «incidenti» ferroviari, aerei e medici è importante uscire da un modello accusatorio individualista che cerca il colpevole nelle sequenza prima del disastro. Si deve invece individuare tutte le falle nel modello organizzativo in cui le regole della sicurezza (come nel disastro del pendolino) siano state subordinate alle regole della produzione.
Per prevenire le conseguenze della scelta neoliberista l'unica soluzione è di non fare questa scelta.
Parlando al convegno ho chiesto di riflettere su cinque parole: (a) Neoliberismo: si sceglie la ricerca di Pil, fatturato, profitto, velocità, ecc.. massimi; e parole come «responsabilità sociale dell'impresa" cadono in disuso a favore di "flexsecurity», «flessibilità», «disponibilità agli straordinari» ecc.
(b) Tecnologia. C'è una tecnologia per la qualità della vita (come è il titolo del master che dirigo all'Università di Bologna) e c'è una tecnologia contro la sicurezza e a favore della organizzazione che la utilizza sperando di ridurre il personale e di risparmiare sempre di più sulle persone (occorre ricordare che la trasformazione in Italia delle FS in Spa con l'attuazione del prepensionamento ha portato dal 1990 al 1995 alla drastica riduzione da 225.000 ferrovieri a 124.000).
(c) Manutenzione. Di fronte al mito del profitto ad ogni costo diventa sempre meno oggetto di attenzione. Io utilizzo spesso l'Eurostar ed è sempre più evidente per chi viaggia la sempre peggiore condizione delle vetture e dei servizi igienici (pochi giorni fa da Roma a Bologna erano fuori servizio tutte le toilette di seconda classe e le porte che non si aprono in tempo sono ormai una normalità). Sono tutti indizi di scarsa manutenzione che fanno pensare a cosa può accadere quando questa incuria si esercita sulle strutture del treno (come la sospensione laterale attiva del pendolino del disastro a Piacenza) o sulle rotaie su cui corre.
(d) Incidenti e disastri stanno diventando sempre più numerosi sia sulle linee principali che su quelle secondarie ma non sono monitorati. Non vengono usati per fare prevenzione, per riflettere sul modello organizzativo (sempre più neoliberista) che non viene messo in discussione. Di fronte all'incidente del 2004 di Palagianello (linea Taranto-Gioia del Colle; nessun decesso ma feriti gravissimi) o quello del 2005 di Crevalcore (linea Bologna-Verona; 17 vittime e numerosi feriti) non si vuole riflettere che alla guida del treno nel sud c'era un giovane neoassunto (stessa età e stessa inesperienza del giapponese che nel 2005 era alla guida del treno che ha provocato il disastro ferroviario ad Amagasaki con 57 morti r 400 feriti) oppure che il disastro di Crevalcore è stato facilitato dalla presenza di un dispositivo tecnico disturbante come il Vacma e da una segnaletica inadeguata.
(e) Prevenzione. Nell'analizzare gli incidenti e disastri in medicina, treni ed aerei nelle nazioni più industrializzate colpisce il non interesse alla prevenzione. Negli Stati uniti, di fronte al diffondersi di incidenti negli ospedali si è presa una decisione in perfetta linea con il neoliberismo che si vorrebbe ancora più diffuso in Europa: non si pensa di cambiare sistema organizzativo ma si è stanziata una cifra enorme (intorno al 10% del bilancio complessivo di un ospedale) per essere in grado di pagare le spese processuali quando l'Ospedale è citato in giudizio. E' questa la scelta che si vuole estendere in Italia? Ancora in marcia!
Vorrei terminare con un nota più ottimista. Al convegno di Piacenza, a dieci anni dal disastro del pendolino, non c'erano rappresentanti dei sindacati confederali; degli enti locali era presente solo il Comune di Crevalcore. Era però presente Ezio Gallori (ex macchinista in pensione di Firenze) direttore e animatore della rivista Ancora in marcia e autore di un libro importante, 40 anni di lotte in ferrovia (Firenze, 1996) a cui quest'anno ha aggiunto un libro più piccolo Storie e racconti di un macchinista del '900 (per averli vale il sito ricordato all'inizio). Il motivo di ottimismo è che Gallori (che è toscano come me e quest'anno ha festeggiato come me il '68; ma i prof universitari vanno in pensione più tardi) è riuscito a trasmettere il suo amore per la cultura e per la sinistra a una nuova generazione di macchinisti e ferrovieri (quella dei Galvani, Bertolini e tanti altri). Nonostante tutte le sue capacità di pressione e corruzione il neoliberismo non riesce mai a vincere del tutto e si può quindi contare su un ricambio generazionale che fa ben sperare. Quindi Ancora in marcia!
Vittorio Capecchi (www.ilmanifesto.it)


In data 28 luglio 2007 abbiamo ricevuto dall'ing. Ivan Beltramba la richiesta di rettifica della notizia sopra riportata.
Noi lo facciamo con piacere, però ci teniamo a sottolineare che la medesima (come evidenziato in calce) era tratta integralmente dal quotidiano "il manifesto" e comparsa anche sul sito web dello stesso giornale (www.ilmanifesto.it).


Gentilissimo Webmaster,

Ho scoperto solo ora questa notizia (www.ancorainmarcia.it/aim/archinews/news2007/gennaio07.htm) che cita un convegno svoltosi a Piacenza organizzato da Ancorainmarcia ed in cui sono intervenuto. Volevo precisare che MAI in nessun intervento ed in nessuno scritto ho indicato come causa o come concausa del disastro di Piacenza del 12 gennaio 1997 un difetto di manutenzione di parti del Pendolino (tipo ETR460) coinvolto. Vi prego pertanto di rettificare questa pagina il più presto possibile e con la massima evidenza.

Grazie per l'attenzione e buon lavoro.
Ing. Ivan Beltramba
Bologna

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