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Crevalcore: vicina l'iscrizione dei primi indagati

Non solo l’errore umano, ma anche l’assenza di un sistema di sicurezza in grado di prevederlo e tollerarlo. È sulla base di questa considerazione che il registro degli indagati dell’inchiesta avviata dalla Procura dopo la strage di Crevalcore potrebbe presto riempirsi di nomi e cognomi. Si tratterebbe di almeno una dozzina di dirigenti della Rfi - Rete Ferroviaria Italiana - la società che gestisce la tratta maledetta del Brennero dove il 7 gennaio di un anno fa, nei pressi della stazione Bolognina di Crevalcore, hanno lasciato la vita 17 persone.

Gli eventuali iscritti verrebbero indagati con le ipotesi d’accusa di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime. Si tratterebbe della catena di dirigenti di Rfi che, ciascuno per la propria competenza, si è occupato della sicurezza nella linea maledetta. La conferma indiretta della svolta nell’inchiesta aperta dalla Procura all’indomani della strage è arrivata da un vertice che si è tenuto ieri mattina nell’ufficio del procuratore capo Enrico Di Nicola e che ha visto la partecipazione del pm Enrico Cieri, il magistrato di turno nel giorno della sciagura: «Entro sabato prenderemo le nostre decisioni - ha piegato Di Nicola - anche sulla base delle risultanze che abbiamo, a nostro avviso già sufficienti allo scopo, sebbene vi sia una ulteriore consulenza che deve essere depositata, in modo che tutti gli interessati possano sapere che a distanza di un anno abbiamo lavorato in modo da arrivare ad un traguardo del genere».
Le tre consulenze affidate dai magistrati bolognesi (una quarta verrà depositata alla fine di marzo) relative alle cause dell’incidente, alla gestione delle risorse destinate da Fs per la sicurezza, al funzionamento dei segnali luminosi e alle normative relative specifiche sull’affidabilità del sistema, hanno concluso per l’errore umano come causa principale della tragedia. Ma i consulenti dei pm non si sono fermati qui. Gli esperti si sono posti il problema di capire se a livello industriale e aziendale l’errore del macchinista, che ha “bucato” il giallo e il successivo rosso, poteva essere azzerato. La conclusione a cui sono arrivati è stata eloquente: l’assenza di un paracadute d’emergenza ha contribuito a determinare la tragedia. Se sulla tratta vi fosse stato il controllo marcia treni, l’incidente si sarebbe potuto evitare. Il passeggeri diretto a Bologna era predisposto per avere l’Scmt ma la tratta ne era sprovvista. Ecco perché gli eventuali indagati vanno ricercati all’interno di Rfi che ha la gestione delle infrastrutture della tratta. L’implementazione della linea con la ripetizione del segnale effettuata dopo la tragedia e operativa dallo scorso luglio è un fatto che va in questa direzione. Le consulenze hanno anche stabilito che i segnali luminosi presenti sulla linea erano regolarmente funzionanti e che tutte le strumentazioni della stazione Bolognina, telegestita da quella di San Felice, hanno lavorato correttamente. Il macchinista (morto anch’egli nello schianto) ha frenato leggermente, decelerando di 15 chilometri orari, quando era a 1.200 metri dalla stazione. Prima del verde, dunque, e in modo ininfluente.Poi ha tirato dritto a 120 all’ora per frenare in modo impercettibile solo quando ha visto i fanali del merci, dopo il rosso e dopo lo scasso del deviatoio. Questo vuol dire che non ha visto né il giallo che preannunciava via impedita né il rosso. Ma, dicono gli esperti, se fosse stato attivo il sistema di controllo della marcia del treno, il treno si sarebbe fermato automaticamente.
(fonte: Gianluca Rotondi da www.ildomanidibologna.it)

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