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Padoa Schioppa: biglietti più cari e meno lavoratori

Il ministro dell'Economia appoggia il piano delle Ferrovie: alzare le tariffe e ridurre i posti di lavoro. Contrari i sindacati. Epifani: «Serve un piano industriale serio» Si potrebbe prendere per buono quello che ieri ha dichiarato Tommaso Padoa Schioppa, che cioè i treni in molti paesi d'Europa sono molto più cari che qui, nel Belpaese. Aggiungendo anche, però, cosa che il ministro dell'Economia omette, che sulla qualità del servizio c'è almeno la stessa abissale distanza. Quel che si prepara invece in casa Fs è una ricetta ormai nota: l'ennesimo ritocco alle tariffe e una consistente sforbiciata dell'occupazione.

Il «piano strategico», che dovrebbe riportare sul «giusto binario» un'azienda disastrata e sulla quale pesano due miliardi di euro di debito, ufficialmente non è ancora stato presentato. I contenuti però erano stati anticipati a febbraio dallo stesso Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie. E ieri hanno ricevuto il plauso del ministro dell'Economia.
«C'è un livello di tariffe del tutto fuori linea rispetto agli altri paesi - ha esordito Tommaso Padoa Schioppa - Il recente aumento ha soltanto recuperato un ritardo molto deplorevole, dovuto a un blocco per molti anni delle tariffe». Dal primo gennaio il prezzo dei biglietti (fatta eccezione per regionali e interregionali) è aumentato del 10% e, probabilmente dal prossimo ottobre, crescerà di una percentuale equivalente. Frena un pochino il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, ma solo per dire che «gli aumenti vanno intesi in maniera differenziata, salvaguardando le fasce di pendolari e utenti giornalieri».
Ma anche sul fronte occupazionale si prepara una vera stangata. Padoa Schioppa parla, in politichese, di probabili «scelte impopolari» e possibili «dismissioni di rami della rete non più redditizi né essenziali per assicurare il trasporto». A inizio febbraio, Moretti aveva parlato di almeno 10 mila esuberi, in un'azienda che in quindici anni è passata da 220 mila a 95 mila occupati. E ancora - conclude il ministro - «se in tutto il mondo i treni possono viaggiare con un macchinista unico, non si capisce perché in Italia ne servano due». Insomma, la pianta sarebbe sana, soltanto da potare.
«Il ministro non conosce affatto la realtà ferroviaria italiana e il numero dei morti sulle ferrovie - dichiarano in una nota i delegati per la sicurezza dei ferrovieri - Solo per questo può sostenere con tale leggerezza il macchinista unico». Spiega Roberto De Paolis, macchinista del «Coordinamento 12 gennaio» (nato all'indomani dell'incidente di Crevalcore): «I treni italiani sono più sicuri di quelli europei proprio per il fatto che ci sono due macchinisti». «L'arretratezza tecnologica dei locomotori non sarebbe in grado di consentire, oggi, l'arresto del treno in caso di malore o distrazione del macchinista», aggiunge.
Dure le reazioni del sindacato. «Traspare dalle dichiarazioni del ministro - dice Giovanni Luciano, della Fit Cisl - un disimpegno di fatto del governo rispetto al rilancio del trasporto ferroviario». «È forse venuto il momento che le scelte di politica industriale siano sottratte al ministero dell'Economia», rincara Fabrizio Solari, segretario della Filt Cgil. Infine, Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil: «Per risolvere i problemi delle Ferrovie non servono tagli al personale, ma un piano di sviluppo serio».
Dice infine Padoa Schioppa che la società registra «buoni dati del traffico» e «un buon livello di sicurezza». Ammette (bontà sua), che in effetti esiste il problema di un materiale rotabile «vecchio e obsolescente». E sulla puntualità dei treni? «I dati sono buoni». Beato lui, verrebbe da dire. Che il treno, evidentemente, non è costretto a prenderlo.
Sara Farolfi (il manifesto, 30 marzo 2007)

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